Le Pietre di Ica

I misteri ci affascinano così come i sogni ci aiutano.
Indipendentemente da religione, lingua, cultura, da sempre l’uomo si interroga sulle sue origini, sulla sua identità, sulla sua fine.
A volte, durante il nostro peregrinare sulla Terra, siamo testimoni di eventi che, d’improvviso, possono mettere in discussione centinaia d’anni di scienza o, peggio, l’intera somma delle conoscenze umane.
Credere, non credere, spesso la ragione da sola non ci dà le risposte che vorremmo. Forse non le sappiamo cercare, forse non siamo in grado di capire, ma l’anima dell’evoluzione è il dubbio, la voglia di “andare oltre”, di sapere.
Oggi coltiveremo questo dubbio.

Questa è la storia di un medico peruviano, il Dottor Javier Cabrera Darquea e delle pietre di Ica.
Il Dottor Cabrera viveva e lavorava in un paese di nome Ica, ai piedi delle Ande.
Non distante si estende l’altopiano di Nasca, noto nel mondo per i suoi misteriosi disegni nella sabbia, più in là si trova Paracas, un’altra zona ben nota a archeologi e huaqueros (i nostrani “tombaroli”) per le vaste necropoli scoperte.
Intorno, il deserto di Ocucaje e lungo esso, il rio Ica.
La storia narra che nel 1960 il rio Ica straripò, inondando la pampa sabbiosa e riportando alla luce una quantità rilevante di manufatti: le cosiddette “pietre di Ica”.
Gli abitanti del piccolo paese di Ocucaje, però, capirono subito che non potevano essere “oggetti” legati alla cultura Nasca o Paracas, così si limitarono a venderli a pochi soles (la moneta locale) al mercato, considerandoli privi di qualsiasi valore e di interesse.

La zona ha sempre richiamato gran frotte di visitatori, turisti, curiosi, che sono soliti tornare in patria portandosi dietro manufatti veri o finti, comprati nei mercatini peruviani. I poveri contadini del posto fanno di questa attività il loro principale reddito.

Le pietre di Ica, così, continuarono a essere scambiate e vendute per molti anni, finché qualcuno non iniziò ad interessarsene: il Dottor Javier Cabrera.
Erano i primi di maggio del 1966, quando Cabrera ricevette in regalo, da un suo amico, una di queste pietre per usarla a mo’ di fermacarte.
Sulla pietra, nera e pesante, era inciso un pesce sconosciuto al dottore, il quale, ormai incuriosito, volle sapere da dove provenisse quell’oggetto.
“Da Ocucaje”.si sentì rispondere.
Cabrera rimirò di nuovo la pietra e capì che doveva “sapere”. Quel giorno la sua vita cambiò.

Con il suo amico si diresse nel villaggio di Ocucaje, poi nella hacienda del fratello di questo che, a suo dire, possedeva una discreta collezione di queste pietre.
Il dottore rimase sconvolto a quella vista, sulle pietre erano incisi animali sconosciuti, uomini dalle fattezze misteriose, piante ufficialmente mai esistite sul nostro pianeta.
Cabrera rimirava le pietre una ad una e, intanto, una specie di inquietudine gli saliva dal petto. Che cosa rappresentavano quelle figure?Chi le aveva incise? Che datazione potevano avere?
Quale sorprendente verità stava per scoprire?

Da uomo di scienza, come primo atto, cercò il conforto di esperti.
Il Museo Regionale di Ica, ad esempio, possedeva alcune di quelle pietre, sebbene non le avesse mai esposte.
“Perché?” Chiese il dottore.
“Semplice si sentì rispondere sono dei falsi.”

I poveri huaqueros dovevano pur sopravvivere, e per farlo non restava loro che truffare gli sprovveduti turisti.
A Cabrera però questa risposta non sembrò convincente, né verosimile.
Come potevano delle persone ignoranti di ogni scienza trovare l’ispirazione per incidere migliaia di pietre?

Come potevano produrne tante in così breve tempo?

Doveva sapere, doveva continuare la sua ricerca. Questa divenne la sua ragione di vita.
Così il dottore diede fondo ai suoi averi e acquistò tutte le pietre che poté.
In poco tempo arrivò a possederne dodicimila.
Comprava, studiava e combatteva la sua guerra contro le autorità, sorde a ogni richiesta di indagine scientifica, tanto che alla fine Cabrera decise di finanziare le analisi necessarie a comprendere l’entità di quelle pietre.

Il risultato non si fece attendere: si trattava di andesiti carbonizzate di natura vulcanica risalenti al Mesozoico. L’età della patina di ossidazione presente in modo uniforme sulla superficie delle pietre, invece, sarebbe stata di almeno dodicimila anni.
Una scoperta sconvolgente che, come sempre accade, divise gli uomini in scettici e credenti.
La scienza ufficiale, tuttavia, nemmeno di fronte a queste rivelazioni si scompose.
Il Dottor Cabrera era dunque solo un pazzo ossessionato dall’idea che una civiltà sconosciuta, vissuta in tempi improbabili, avesse voluto lasciarci in eredità un patrimonio trascritto su pietre?

Certo la teoria, seppur affascinante, è ragionevolmente difficile da accettare, ma “fare finta di niente” non è mai stato produttivo.
Seguiamo, quindi, Cabrera nei suoi studi.
Il dottore, dopo anni di lavoro certosino arrivò a concepire l’ipotesi che le pietre non dovessero essere visionate separatamente, ma raggruppate per tematiche.
Catalogò la sua collezione, dividendo le pietre in macro – gruppi aventi, ognuno, un suo specifico filo conduttore.
Fu così che riuscì a ricostruire il ciclo evolutivo di centinaia di animali assai simili a quelli presenti sui manuali di paleozoologia, animali estinti da milioni di anni.
Quello che, però, lo colpì di più, fu vedere incisioni di uomini e dinosauri in scene di vita quotidiana.
Se così fosse, dovremmo buttare tutti i nostri libri di storia. Dovremmo riformulare tutte le nostre teorie evolutive e mettere in discussione una quantità notevole di certezze.
Saremmo pronti a tutto questo?

Cabrera era evidentemente pronto, perché non ebbe alcun dubbio nel formulare le più disparate ipotesi.
Chiamò questi uomini: Antenati Superiori e così li descrisse:

“Per quanto riguarda le figure umane rappresentate nelle incisioni, anche se è probabile che non vi sia una estrema fedeltà ai modelli, dato che si tratta di disegni simbolici, penso tuttavia che per certi aspetti non fossero diversi da come appaiono. E’ evidente la sproporzione fra la testa, il corpo e gli arti. La testa è voluminosa, e ancor più il ventre; gli arti superiori sono lunghi, le mani hanno dita sottili e il pollice non è in posizione opposta. Gli arti inferiori sono robusti e corti. Dato che la finalità dell’umanità glittolitica era l’aumento delle qualità intellettive per incrementare e conservare le conoscenze acquisite, la conformazione fisica degli individui dovette adattarsi al costante esercizio delle funzioni conoscitive. Pertanto il cervello doveva avere dimensioni notevoli; le braccia potevano non essere robuste e le mani, non dovendo assolvere funzioni meccaniche, non avevano bisogno di un pollice in posizione opposta. Le gambe corte e forti e il ventre pesante, spostato in basso, bilanciavano il peso della testa, sproporzionatamente grossa”.
Questi Antenati Superiori, sempre esaminando le incisioni, dovevano essere dotati, secondo Cabrera, di conoscenze a noi ancora ignote.
Sapevano, ad esempio, far interagire il proprio corpo con la natura circostante, traendo da questa l’energia necessaria a svolgere ogni mansione.

Il dottore, proprio per la sua professione, si concentrò sullo studio delle pietre le cui incisioni mostravano pratiche mediche.
Esaminò centinaia di pietre con raffigurazioni di interventi chirurgici, trapianti di cuore e di cervello, parti naturali o per taglio cesareo, pratiche anestetiche di diversi tipi, fra cui per agopuntura e, infine, notò in diversi interventi di trapianto la presenza di una donna incinta. Questa, trasfondendo il proprio sangue all’organo del donatore e al ricevente, aveva una funzione antirigetto. Cabrera, infatti, stimò che nel sangue di una partoriente dovesse esserci un “principio attivo” capace di “sopportare” la presenza di un elemento estraneo al proprio corpo, nel caso specifico il feto.

Furono, però, i trapianti di cervello ad attirare maggiormente l’attenzione del dottore, perché oltre a mostrare l’asportazione e il trapianto di interi emisferi, facevano intendere il passaggio di informazioni tra il corpo del donatore e quello del ricevente.
In pratica un “travaso” di conoscenze.
Nacque così in Cabrera la convinzione che questi Antenati Superiori avessero donato parte del loro sapere ad esseri più o meno animaleschi: i nostri lontani progenitori.
Cosa abbia impedito a questa lontana progenie di tramandarsi nei secoli oltre che a lasciarci la testimonianza del loro passaggio incisa sulle pietre, non è dato saperlo. Il dottore pensò al biblico diluvio universale.

Un ciclo che si esaurisce, un altro mystero che si sovrappone.
L’immaginario collettivo, evidentemente, pesa sulla nostra cultura più di quanto siamo soliti ammettere.
E qui gli scettici hanno potuto sorridere di Cabrera, perché in primis si chiesero come mai degli esseri tanto superiori avessero voluto lasciare traccia incidendo delle pietre. Perché utilizzassero strumenti tanto rozzi e perché non abbiano svelato nulla di trascendentale.
A complicare la situazione, intervennero alcuni huaqueros, i quali giurarono di essere gli artefici delle pietre.
Rimane, tuttavia, il dubbio che incidere tanti manufatti non è cosa banale, oltretutto per il bagaglio di conoscenze che sarebbe necessario possedere.
Inoltre, come è noto, trafugare reperti archeologici è un grave reato, mentre truffare qualche ingenuo vacanziere lo è assai meno.
La confessione di questi poveri contadini peruviani, perciò, può essere giustificata con la necessità di seguitare la vendita delle pietre senza ostacoli burocratici.
Cabrera, ormai avvezzo alle critiche, continuò imperterrito per tutta la vita a cercare la sua verità.
Allestì un museo di pietre e annotò su quaderni le sue osservazioni.
Pubblicò testi e ricercò, fino alla fine, il conforto della scienza ufficiale, la quale, forse, liquidò la pratica un po’ superficialmente, perché se è innegabile che la collezione di Cabrera sia inquinata, è anche plausibile che diverse pietre dalle origini incerte ci siano.
Rimane il mystero dell’esatta ubicazione delle pietre, perché il dottore non volle mai rivelare il giacimento dal quale attingeva.
Sostenne fino alla fine che lo avrebbe reso noto solo dopo aver avuto assicurazioni da parte del governo locale, così che il luogo non venisse depredato.

Delle pietre di Ica si parla ancora molto, ma i ritrovamenti sono finiti con la dipartita del dottor Cabrera.

Mi chiedo e questo sì è un mystero, da dove provengano le decine di migliaia di reperti in possesso del Cabrera. Quanta gente si è arricchita o ci ha marciato sopra?

In circa un centinaio di anni di scavi, a partire da Max Uhle, in cui sono state portate alla luce circa 200.000 tombe nella zona incriminata, non è mai stata trovata una sola pietra assimilabile o paragonabile a quelle del Cabrera per contenuto e rappresentazione.
Se la memoria non mi inganna, mi sembra che in tutte le tombe menzionate si siano recuperate cinque, forse sei pietre in tutto, senza scalfitture significative e non più grandi di un palmo e intese come offerta dall’oscuro significato da affiancare nel gran Viaggio.
La cava di pietre da cui provenivano questi segnali del passato non è mai stata trovata.
(…)

In ogni caso dopo il terremoto di Nasca del dicembre 1997 mi sembra non vi sia più stata questo tipo di attività, visto che la zona è stata rasa al suolo. Non mancherei però di far notare che dopo la dipartita del dott. Cabrera di pietre più nemmeno l’ombra, così mi hanno assicurato proprio oggi amici di Palpa, Nasca e Ica”.

Il dibattito sulle pietre di Ica è però tuttora aperto.
Il mystero continua…

Durante le mie ricerche ho conosciuto molte persone in rete interessate alle pietre di Ica. Il pezzo virgolettato è apparso su un newsgroup a firma di Gianni. Privatamente Gianni mi ha autorizzato a pubblicarlo.
Lo ringrazio molto.
Segnalo un suo link che consiglio a tutti gli amanti del Perù e dei suoi misteri.

  Marzia Luciano

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